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Angus Deaton, il Nobel delle disuguaglianze


Angus Deaton

Il Nobel per l’economia 2015 è stato assegnato a Angus Deaton. Scozzese, 70 anni, docente a Princeton, è stato celebrato dagli addetti ai lavori per le sue fondamentali analisi su domanda e consumi, che lo hanno portato in epoca più recente ad interessarsi di reddito, benessere e povertà.

Deaton sarà nei prossimi giorni in Italia per presentare “La grande fuga”, il suo lavoro forse più ampio sul tema della disuguaglianza sociale, pubblicato quasi contemporaneamente al “Capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty e oscurato dal successo planetario di quest’ultimo. Diversamente da quello del giovane francese, l’approccio dello scozzese non ha connotazioni ideologiche e mette in evidenza l’aspetto multiforme delle disuguaglianze sociali, nelle cause e nelle conseguenze.

Tra le cause delle disuguaglianze, Deaton mette la Rivoluzione industriale inglese che nel XVIII e XIX secolo ha favorito la crescita degli europei e nello stesso tempo contribuito a creare un baratro tra l’occidente ed il resto del mondo. Fenomeno questo ancor oggi discusso, ma di entità trascurabile rispetto a quello verificatosi nell’età imperiale di poco precedente, quando intere popolazioni in Asia, in America Latina e nei Carabi sono state defraudate delle loro risorse e assoggettate a pesanti dominazioni.

La globalizzazione della seconda metà del secolo scorso ha cambiato gli equilibri del pianeta, prestandosi a letture diverse. Ha affrancato milioni di persone da vergognose condizioni di miseria e sudditanza, incrementandone il reddito e portandolo vicino più alla fascia media mondiale che ai suoi limiti più bassi. D’altro canto, i poveri del mondo ne hanno ricavato ben poco rispetto ai guadagni stratosferici delle élite in Europa e negli Usa, mentre le distanze fra classi stanno aumentando proprio nei Paesi a maggior crescita come Cina ed India.

Nella parte conclusiva del libro, Deaton indica alcuni possibili rimedi per attenuare le disuguaglianze, che peraltro entro certi limiti bisogna accettare come fenomeno fisiologico. E’ la parte più politica, dove vengono espresse severe critiche al sistema degli aiuti internazionali che non hanno prodotto alcun risultato ed hanno per contro dissipato risorse, alimentato la corruzione, sostenuto dittatori sanguinari. Occorre avere il coraggio di tentare vie nuove, come potrebbero essere una ricerca scientifica mirata alle condizioni sanitarie dei Paesi poveri, una più estesa assistenza tecnica, una progressiva riduzione delle produzioni agricole nei Paesi sviluppati.

Un libro quindi senza tesi preconcette, problematico e molto incisivo a partire dal titolo, che riprende quello di un famoso film degli anni ’60. Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di aviatori inglesi e americani prigionieri in un lager tedesco tenta la fuga scavando un tunnel, ma solo tre vi riescono. Altri restano nel lager ed altri ancora sono catturati, andando incontro ad un destino molto diverso da quello dei loro compagni più fortunati. E’ una allegoria delle vistose disuguaglianze che si creano con gli eccessi dello sviluppo capitalistico, senza arrivare agli estremi dell’imperialismo e del colonialismo. E nello stesso tempo un segno di umana attenzione verso chi per motivi diversi resta indietro nella corsa della vita.

 
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