Dove va Hollande?

Nel maggio 2013 il leader francese aveva detto di lavorare per una vera unione politica europea. Ma era un bluff, svelato dai suoi attuali comportamenti
Dopo la carneficina di Parigi, alla Francia è stata espressa una solidarietà senza precedenti. Autorità politiche e religiose hanno inviato messaggi di cordoglio, i maggiori leader sono andati ai microfoni delle emittenti televisive, la Marsigliese è stata cantata nel Parlamento di Westmister e perfino in quello di Strasburgo. Che uso ne sta facendo?
Ancora prima che fosse completato il tragico elenco dei ragazzi falciati e fossero chiarite le responsabilità, Hollande mandava i suoi caccia a bombardare Raqqa, ritenuta la città siriana dove tutto era stato preparato. Non aveva perso tempo a contattare la Nato a direzione danese e si era appellato all’art 42 del trattato di Lisbona, in base al quale gli Stati membri sono tenuti a prestare aiuto ad uno che subisca un’aggressione. Si era attribuito speciali poteri, pur non trovandone il presupposto nella Costituzione che li prevede entro precisi limiti di tempo e per situazioni particolari come lo stato d’eccezione, usato una sola volta da De Grulle, e lo stato d’assedio con trasferimento di poteri ai militari. Favorito dalle perplessità di quanti avevano cominciato a chiedersi se quel tipo di aggressione potesse essere definito guerra o terrorismo, aveva tagliato corto prospettando l’introduzione di un ulteriore articolo per la disciplina di un generico stato di emergenza e comportandosi comunque come se già fosse vigente.
Contemporaneamente metteva sotto stress Bruxelles chiedendo di riformare in senso restrittivo il Trattato di Schengen, fingendo di ignorare che i terroristi erano quasi tutti cittadini francesi con precedenti penali e già noti alle forze dell’ordine. Non ha voluto considerare che la facilità degli spostamenti avanti e indietro dalla Siria attraverso numerosi Stati europei derivava, più che dai mancati controlli alle frontiere, dal mancato coordinamento fra le diverse polizie nazionali, che non si erano scambiate nemmeno le informazioni sugli spostamenti dei nominativi segnalati. Nonostante i “buchi” del sistema fossero imputabili non al Trattato ma alla mancata attuazione delle sue fondamentali clausole sulla sicurezza, le sue richieste hanno ricevuto facile ascolto ed è ormai imminente la rottamazione anche formale di Schengen già del resto nei fatti dopo le scomposte reazioni dei Paesi balcanici alle ondate migratorie.
In questi ultimi giorni Hollande ha proseguito nel suo protagonismo, cercando accordi bilaterali con Washington, Mosca, Berlino, Roma, Londra, per intensificare bombardamenti che sembrano dettati più da esigenze di politica interna che da un disegno strategico. A New York sta cercando di strappare l’egida dell’Onu, forte del suo seggio permanente nel Consiglio di sicurezza, pur sapendo che la politica internazionale è ormai articolata per grandi aree geografiche ciascuna responsabilizzata a risolvere le proprie tensioni interne. Per contro non ha speso una parola sulla creazione di una forza armata e di intelligence europea dalla quale dipende la possibilità per il nostro Continente di avere un ruolo nella stabilizzazione del Mediterraneo, smarcandosi tanto dalle posizioni americane quando sono in palese conflitto con i nostri interessi, quanto da quelle russe quando premono troppo ai nostri confini. Nemmeno un cenno ha poi fatto alla questione islamica, che lo riguarda più di ogni altro leader. La Francia ospita 6 milioni di musulmani, con un modello di integrazione che si è dimostrato fallimentare e nei grandi agglomerati urbani ha prodotto le banlieue come luoghi di emarginazione e odio razziale. E’ un problema noto da tempo, lasciato marcire permettendo ai disperati che vi si concentravano di organizzarsi e trovare utili collegamenti con l’Isis che ha fornito loro motivazioni, direttive, armi. Nell’Unione i musulmani sono poco meno di 20 milioni destinati secondo studi recenti a salire a 30 nel 2030 e a 40 a metà secolo, mentre nell’Europa geografica comprensiva anche di Russia e Paesi balcanici sono già 60 milioni. La Francia è pertanto parte di un problema più ampio e condivide con altri gli interrogativi relativi ad un Islam ormai innervato nella nostra civiltà. La laicità dello Stato, la libertà religiosa, la parità fra uomo e donna, la pluralità delle forme espressive nell’arte e nella cultura sono conquiste irrinunciabili della società occidentale, ma sono estranee a larga parte del mondo islamico e pongono problemi di relazione non risolvibili a livello nazionale.
Hollande ha avuto a disposizione una platea mondiale e anche una minima parola sui temi dell’integrazione europea avrebbe avuto un enorme ascolto. Non l’ha detta e ha dimostrato un profilo molto più modesto di quello che gli avevamo accreditato nel maggio 2013, quando aveva convocato all’Eliseo 400 giornalisti per annunciare il suo impegno per una unione politica entro due anni. Quei due anni sono scaduti e dobbiamo concludere che il suo era un bluff. Purtroppo per sondare le reali intenzioni della politica francese, la chiave che serve è sempre quella del sovranismo. E’ triste constatarlo, ma è meglio tenerne conto per evitare altre disillusioni.