Contemplazione di una tragedia

I tragici eventi che hanno straziato la capitale francese venerdì 13 novembre sono stati ampiamente ricostruiti dai giornalisti, che si sono serviti di prospettive alquanto variegate, più o meno aderenti alla realtà dei fatti; non è stato considerato, tuttavia, un singolare punto d’osservazione: prima di poter ripercorrere quanto si è verificato mediante l’impiego di tale sguardo è però necessaria una premessa, un preambolo inerente ad una brillante filosofa novecentesca, una figura che analizzò con mirabile lucidità il proprio tempo ed elaborò tesi dal ragguardevole valore: si tratta di Hannah Arendt, celebre autrice del discusso testo intitolato “La banalità del male”, opera che documenta un evento dalla rilevanza significativa, ossia il processo riguardante il criminale nazista Adolf Eichmann svoltosi nel 1961, e che conduce la filosofa alla formulazione di una riflessione che proprio in questi terribili giorni può essere recuperata e nuovamente esaminata.
Secondo Hannah Arendt, ammettendo la possibilità di riassumere attraverso pochi tratti quanto teorizzato dalla stessa, immaginare che i crimini disumani attuati dai nazisti derivino da un Male sostanziale, ossia da un ente assolutamente maligno che da sé sussiste, è scorretto, non corrisponde alla realtà, perché le origini del Male sono ben diverse: le parole, gli atteggiamenti e persino i gesti compiuti durante il processo da Eichmann, infatti, suggeriscono alla filosofa una teoria innovativa e rivoluzionaria: il Male possiede origini “banali” ed è determinato da meccanismi altrettanto “banali”, attivati e sviluppati da uomini qualsiasi, da individui spesso incapaci di comprendere le terrificanti tragedie che i processi cui si adeguano possono generare.
Ora è possibile analizzare quanto è accaduto considerando la seguente sequenza: alcuni musulmani aderiscono ad una pericolosa setta terroristica, acquistano e fabbricano delle armi, organizzano un piano, e durante una sera qualsiasi irrompono all’interno di più edifici, uccidendo decine e decine di uomini e donne, esseri a loro simili che perdono la propria vita così, d’un tratto, improvvisamente sopraffatti da un moto di spietata e sconcertante violenza. Una lineare successione d’azioni ha condotto ad un dramma raccapricciante: ecco la “banalità” del Male, il quale s’annida nella realtà quotidiana, si cela all’interno di abitazioni comuni, si avvale di gesti semplicemente concreti e poi sprigiona la propria essenza con disumana irruenza, abbattendo interamente la tranquilla realtà cui la cittadinanza era avvezza – la stessa normalità che il brillante Philip Roth descrive in “Pastorale americana”, romanzo che narra il singolare crollo subito dagli ideali nei quali un americano ha sempre creduto, ideali distrutti dall’attentato compiuto dalla figlia dello stesso, che costruisce una bomba con la quale uccide dei civili.
Oltre ad analizzare i fatti accaduti, è bene interrogarsi circa gli stessi: cosa ha spinto quegli individui a perpetrare una strage tanto iniqua? Considerare quanto è stato scritto da Hannah Arendt può rivelarsi nuovamente interessante: la filosofa, infatti, all’interno d’un saggio intitolato “Socrate”, testo riguardante alcune teorie associate al noto pensatore greco, evidenzia la natura dialettico-dialogica della coscienza, una componente della mente umana che non abbandona mai il soggetto e davanti alla quale il soggetto tenta sempre di costruire una particolare immagine di sé – la filosofa non casualmente medita intorno alla massima socratica: “Sii come vorresti apparire agli altri”. Ebbene, considerata la singolare conformazione della coscienza appena illustrata, sorge bruscamente un inquietante ragionamento: gli attentatori sono riusciti a giustificare dinanzi a sé stessi una carneficina simile, sono stati capaci di aderire a principi pseudo-religiosi che comandano ed esaltano la morte; poi hanno agito, hanno ucciso convinti dei propri atti, persuasi della validità correlata agli omicidi che hanno commesso! È forse questo l’Uomo!? È forse divenuto un ente capace di abbandonarsi all’abiezione più orrida? Quale oscurità ha ottenebrato il suo percorso?
È bene ricordare, infine, che il massacro avvenuto rientra tra le operazioni condotte dall’organizzazione estremista ISIS, le cui azioni stanno propagando inquietudini dall’estensione internazionale: alcuni ritengono che tale milizia sia mossa da interessi economici, altri riconducono il fenomeno a conflitti puramente ideologici, taluni ideano improbabili complotti – c’è persino chi ritiene che la famiglia Rothschild abbia pianificato l’insieme di scontri bellici che oggigiorno lacerano molte aree del Medio Oriente. Dietro a tali teorie, però, torreggia una domanda dall’importanza cruciale: come reagire? Che tattica utilizzare? L’uomo deve ricercare una kantiana pace perpetua, o rassegnarsi alla presenza forse necessaria – volendo recuperare elementi dalla matrice hegeliana – della Guerra? Al di là delle molte soluzioni proponibili, pare indispensabile una svolta sostanziale: si rischia altrimenti una catastrofe apocalittica, “un’esplosione enorme che nessuno udrà”, come scrisse Italo Svevo.