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La Catalogna oggi: perché rinunciare all'unità?


Indipendenza catalana

Durante il 494 a.C. profonde tensioni sociali scossero visceralmente Roma, corrodendone la stessa ossatura: il divario che all’epoca disgiungeva plebei e patrizi s’acuì terribilmente, tant’è che i plebei, esasperati e trainati dall’autoritario Sicinio Belluto – divenuto il comandante dei ribelli –, decisero di abbandonare i confini della città e di stabilirsi presso una collina situata oltre il fiume Aniene, dove istituirono una nuova comunità: il Senato, inquieto ed intimorito, s’arrovellò intorno alle soluzioni ipoteticamente adottabili, fino a quando la voce del saggio Menenio Agrippa si levò, asserendo che lo stesso, accompagnato da una delegazione, si sarebbe personalmente recato dai ribelli. Agrippa, quando si trovò dinanzi alla folla composta dai secessionisti, pronunciò un discorso dal valore eterno: paragonando le componenti di uno Stato agli organi che costituiscono il corpo umano, esaltò l’importanza della Coesione, elemento che assicura l’armonioso e coordinato funzionamento di qualsiasi organismo, permettendo il raggiungimento del benessere. La tematica che principalmente caratterizza l’orazione pronunciata da Menenio Agrippa concerne l’Unità: oggigiorno, considerando rapidamente lo scenario globale, è possibile comprendere con relativa semplicità la notevole attualità correlata a tale tematica, la quale tocca indubbiamente gli eventi politici che recentemente si sono verificati in Spagna, dove la Catalogna ha cominciato a rivendicare la propria indipendenza: s’invoca una scissione netta, una divisione che frantumerebbe l’unità nazionale. Più precisamente, lo sviluppo della vicenda è dipeso dal seguente percorso: nel 2009 la Catalogna, comunità autonoma fiera della propria identità culturale, ha avviato una sequenza di referendum – principalmente non vincolanti e non ufficiali – riguardanti la potenziale acquisizione dell’indipendenza, propugnata da diverse forze politiche; successivamente, nel 2012, si è giunti alla definizione di un progetto ufficialmente sostenuto dalle autorità catalane; durante il 2014, infine, è stato organizzato un referendum che avrebbe dovuto risolvere definitivamente la questione: attualmente, la vittoria è stata conseguita dai secessionisti, ma l’esito concreto di tale procedimento non è ancora stato delineato. Molte le discussioni e le polemiche sorte intorno a tali avvenimenti: il Presidente della Comunità catalana, Artur Mas, e altri esponenti politici favorevoli all’indipendenza rischiano d’essere incriminati; i secessionisti hanno dichiarato “delegittimata” la Corte costituzionale spagnola, la quale, dopo aver sospeso in forma cautelare il processo finalizzato alla concretizzazione dell’indipendenza, si sta dedicando alla problematica; il primo ministro, Mariano Rajoy, ha asserito di voler assolutamente conservare l’unità nazionale; l’Europa, nel frattempo, osserva pensierosa: si domanda che accadrebbe, qualora la Catalogna divenisse uno stato autonomo.

Considerando in nuce il groviglio di fatti esposti e rapportando lo stesso ad alcuni eventi che recentemente hanno scosso la politica internazionale – si pensi, ad esempio, all’indipendenza che, seppur attraverso modalità diverse, è stata richiesta dalla Scozia –, pare interessante ragionare intorno al seguente interrogativo: tra unità e scissione, quale opzione è bene scegliere? Molte voci provenienti dal Passato e dal Presente lo sussurrano alle nostre orecchie: non si consideri semplicemente l’orazione pronunciata da Menenio Agrippa. I filosofi dell’antichità – Aristotele in primis – hanno sovente insistito circa la natura sociale propria dell’Uomo, che ricerca continuamente i propri simili, giacché non può sopprimere la pulsione strutturale che lo conduce alla creazione di comunità: perché, allora, negare tale disposizione e preferire la scissione? Più concretamente, si rivolga il proprio sguardo verso la Storia: il sistema composto da poleis indipendenti si è forse rivelato efficace? Durante l’epoca umanistico-rinascimentale, la penisola italiana, estremamente frammentata e retta da un equilibrio alquanto fragile – un ordine che, in alcuni periodi, perdurò grazie al famoso “ago della bilancia” guicciardiniano – non ha forse subito la violenta invasione di stati più coesi e pertanto potenti? Come negare la razionalità delle tesi che, in epoca illuminista, Kant illustrò attraverso il trattato intitolato “Per la pace perpetua”, all’interno del quale sottolinea l’importanza della coesione che dovrebbe congiungere le varie realtà statali? Oggigiorno la realtà mondiale è contraddistinta dalla globalizzazione: perché ricercare l’indipendenza, quando gli stati mondiali sono sempre più prossimi gli uni agli altri? Considerando la questione catalana: se si desidera tutelare la propria identità culturale, non è più saggio proteggere la stessa all’interno di uno stato, il quale potrebbe assicurare garanzie maggiori?

Il professor Francesco Cavalla, esperto di filosofia del diritto, in un’opera intitolata “All’origine del diritto, al tramonto della legge” evidenzia brillantemente l’importanza del logos, ossia del “dialogo”: principio unificatore, mezzo attraverso il quale comporre saggiamente ogni controversia. Perché – e tale soluzione pare indubbiamente interessante – non ricercare il dialogo? Perché la Catalogna, anziché pretendere una netta indipendenza, non tenta un dialogo con lo stato spagnolo? Si tratta veramente di un’operazione così difficoltosa?

 
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