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Corruzione e burocrazia: due freni alla competitività italiana

  • antonionicoletti96
  • 27 ott 2015
  • Tempo di lettura: 4 min

Whistleblowing: break the silence

A volte capitano le coicidenze: mi stavo scervellando per trovare un argomento valido per il prossimo post, leggendo il validissimo “La morale del tornio” di Antonio Calabrò. Ero al terzo capitolo, “Legalità, cultura contro mafia e corruzione”, quando ho aperto Facebook (tanto per cambiare). Ho trovato in cima alla bacheca un articolo del Sole 24 Ore, che titolava così: “Con riforme l’Italia sale di 11 posizioni nella graduatoria della competitività”. Incuriosito, l’ho aperto e ho scoperto che quelle riforme volevano incidere proprio sulla corruzione e sulla burocrazia. Esattamente ciò che stavo leggendo nel libro. "Bene", mi sono detto, "trovato l’argomento, passiamo a scrivere il post."

Il terzo capitolo de "La morale del tornio" si apre con una citazione di Tacito: “moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto”. Sono parole vecchie di duemila anni, eppure sono paurosamente attuali nella nostra Italia. Per tentare di limitare i poteri del malaffare, i nostri governi appesantiscono le procedure burocratiche, forse in modo esagerato: “Confindustria calcola che in un anno in media un’impresa impiega 269 (duecentosessantanove) ore di lavoro amministrativo per effettuare 15 (quindici) pagamenti, che pesano per il 65,8% dei suoi profitti”. Sono numeri talmente fuori dal comune che ve li ho messi in lettere per assicurarvi che le cifre non sono errori di battitura (purtroppo). Ci ripetono fin da bambini che “il tempo è denaro”; beh, questo è un esempio pratico di cosa vuol dire il proverbio!

Un altro effetto collaterale della corruzione è il danno d’immagine al paese. Ignazio Visco ci ricorda che fra il 2006 e il 2012 abbiamo perso 16 miliardi di euro in investimenti stranieri. Gli unici che sembrano aumentare sono quelli cinesi. A quanto pare, piacciamo molto al dragone. Sarà che vogliono imparano il know-how italiano; oppure sarà che sono abituati alla corruzione nel loro paese, e quindi non sono spaventati dall’investire qui. Mah.

Sta di fatto che i nostri vicini di casa sono molto più severi di noi nel punire i crimini dei “colletti bianchi”. In un bellissimo dossier di Gian Antonio Stella, pubblicato sul Corriere della Sera nel febbraio 2015, veniva spiegato come la Germania punisse di più i “delinquenti in giacca e cravatta” che non i pusher: sono 7.986 contro 7.555. Qui abbiamo 14.994 spacciatori contro solo 230 colletti bianchi. Lungida me il voler difendere i pusher; tuttavia, inizio a capire perché non attraiamo investimenti dell’estero. L’Italia ha una bellezza maledetta: un patrimonio culturale e un know-how che attrarrebbero capitale come le mosche al miele, eppure non ha le strutture necessarie per garantire una concorrenza leale fra tutti gli imprenditori.

Noi italiani abbiamo un altro vizietto, cioè quello di criticare i “whistleblowers”, cioè le persone che denunciano irregolarità in alcuni processi che le vedono direttamente o indirettamente interessate. Per dirla come vorrebbe il nostro senatore Antonio Razzi, i “whistleblowers” sono gente che “non si fa li cazzi sua”. Eppure è fondamentale tutelare chi ha il coraggio di denunciare un’irregolarità, specialmente in un paese come il nostro. Lo "sfigato" non è chi dice al professore che il compagno ha copiato, ma chi copia! Purtroppo questo non entra in testa nemmeno a me; la filosofia di Razzi permea l’animo degli italiani. Ma questa non vuole essere una scusa; anzi, l’inizio di un cambiamento in positivo, partendo da una consapevolezza comune. Eurobarometro segnala che gli italiani percepiscono come “dilagante” la corruzione nel proprio paese. Quindi sembrerebbe che la base necessaria (la consapevolezza del problema) ci sia già. Invece si sente la dipendente pubblica del comune di San Remo che dà la colpa allo Stato se lei sta a casa da lavoro. Sono rimasto allibito dalle sue parole, ma ancora di più dal fatto che nessuno avesse avuto il coraggio di denunciare un fatto che TUTTI gli abitanti di San Remo conoscevano fino a che lo Stato non è intervenuto. Sembrano questioni da Terzo Mondo, da stati la cui burocrazia si è appena formata e che dunque non hanno un rigido sistema di regole. E invece siamo nel 2015 in Italia, il paese dove “nessuno sa niente”.

La corruzione “favorisce la prevalenza delle relazioni, determina una distorsione delle capacità imprenditoriali e un blocco all’innovazione”, ed è “una tassa occulta sui cittadini” (Giovanni Pitruzzella, presidente Antitrust), perché penalizza legalità, trasparenza ed efficienza. Insomma, la corruzione penalizza chi gioca seguendo le regole. Per questo è necessario avere il coraggio di denunciare ogni irregolarità che vediamo. Se non lo faremo, ne trarrà vantaggio “l’attore economico più spregiudicato, prepotente, illegale. Ai danni di tutta la buona economia nazionale.” Non è un caso che le mafie e il malaffare siano forti in Italia.

È compito dello Stato favorire il whistleblowing, snellendo le procedure giudiziarie e offrendo protezione, se necessario. Renzi ci sta provando, e sta migliorando notevolmente l’outlook dell’Italia agli occhi degli investitori internazionali. Secondo il già citato articolo del Sole 24 Ore, solo il Jobs Act ci ha fatto recuperare 11 posizioni nella classifica “Doing Business”, che misura la competitività misurata dalla facilità delle imprese di operare nel Paese. Ora siamo 45i, quindi ci sono ampi margini di miglioramento. Ma non possiamo aspettare che lo Stato ci faccia sempre da babysitter; questa volta il cambiamento deve partire da noi. L’indignazione per il funerale di Casamonica, il MOSE, Mafia Capitale e i dipendenti pubblici di San Remo è un buon segno, ma si smuoverà davvero qualcosa? Non lo so. Io cerco sempre di essere fiducioso, ma so bene che dipende da noi cittadini. Se tutti facessimo la nostra parte, l’Italia potrebbe davvero “cambiare verso” in maniera definitiva!


CONSIGLI: oltre ai due articoli che vi ho già citato, vi propongo “La morale del tornio” di Antonio Calabrò. È un saggio veramente completo, che esplora le molteplici facce dell’industria italiana e della nostra società. Lo fa sfruttando moltissimi dati e citazioni, che potranno arricchire le vostre discussioni o i vostri temi in classe. Se vi interessa in particolare il tema della legalità (collegato all’economia), iscrivetevi alla newsletter del blog “Faust e il Governatore” del Prof. Beniamino Piccone. Ne vale veramente la pena!


 
 
 

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