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Guerra al debito: perché e come contrastarlo


Debito mondiale

Noi che viviamo in uno dei paesi “PIIGS” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) sentiamo spesso parlare di un insopportabile debito pubblico. Il tutto si è acuito dalla crisi del 2008, quando gli economisti hanno dovuto cercare una spiegazione per la recessione che ha colpito il mondo occidentale. Da quel momento, le politiche di austerità sono diventate di gran moda, e Spending Review si è aggiunta ai concetti che ogni cittadino informato deve conoscere. Ma tutto questo affaticarsi è servito a qualcosa? Qual è la situazione di indebitamento dei più importanti paesi al mondo?

In questo articolo cercherò di fornire un quadro generale, cercando di spiegare i dovuti perché. Il debito mi ricorda vagamente l’Idra, il mostro a cui crescevano due teste ogni volta che se ne tagliava una. L’Idra, come il debito, diventava sempre più forte mano a mano che la si combatteva. Dopo la Grande Recessione del 2008, infatti, il debito pubblico mondiale è aumentato spaventosamente, arrivando a toccare 199 trilioni di dollari (+57 trilioni, cioè circa +27%, dall’inizio dalla crisi). Siamo tornati ai livelli di debito che avevamo toccato durante la Seconda Guerra Mondiale, che si erano abbassati solo con la paurosa crescita degli anni 50 e 60. Se consideriamo il debito totale (pubblico+privato+aziende, mentre di solito si tiene d’occhio solo quello pubblico) la Germania e l’Inghilterra, nonostante le misure di austerity, hanno visto le proprie passività aumentare rispettivamente dell’11 e del 38%. Il Giappone, che galoppa a ritmi di Debito pubblico/PIL del 150%, ha visto un incremento del 67%. A questo punto, però, è necessario fare un excursus: c’è debito buono e debito cattivo. La spesa pubblica, infatti, si compone principalmente di investimenti (costruzione di strada, porti, aeroporti, finanziamento di aziende, miglioramento del sistema educativo etc) e di spesa corrente (cioè tutte le uscite che non generano un ritorno economico, come gli stipendi o le pensioni). Il primo tipo di spesa è considerato buono e sostenibile, il secondo invece è stato l’oggetto più demonizzato dai falchi dell’austerity. Il Giappone non è ancora fallito perché gran parte del debito è composto da investimenti, mentre noi (toccate ferro) dobbiamo tenerlo d’occhio perché la spesa pubblica la fa da padrone.

Tornando al cuore dell’articolo, il debito mondiale è aumentato perché stiamo promuovendo un’economia guidata dal debito invece che dagli investimenti produttivi. Il motivo non è semplice da individuare, ma ci posso provare: la risposta alla crisi è stato un Quantitative Easing da parte delle maggiori banche centrali mondiali. Ciò ha portato i tassi d’interesse prossimi allo zero (o addirittura sotto zero in alcuni paesi!), incoraggiando un credit boom di dimensioni mai viste prima. In sostanza, “tassi a zero” significa che i soldi non costano nulla, perché è stata iniettata liquidità nel sistema. A livello teorico, quindi, le banche dovrebbero concedere mutui e finanziamenti come fa il panettiere con le francesine di mattina. E invece ci si è messa di mezzo la scarsa fiducia fra le banche, che non si prestano più soldi a vicenda (concentrando la liquidità nelle mani di poche) e i consumatori, che continuano ad aumentare i propri risparmi nonostante i governi stiano facendo di tutto per dare aria ai soldi sotto il materasso. Una buona fetta di liquidità, però, è finita nei serbatoi delle grosse aziende, tanto che la riserva di cash è aumentata del 92% a partire dal 2007. Ciò ha determinato uno spaventoso aumento di corporate debt del 67%, mentre i salari sono saliti solo del 5%. Cosa significa questo? Che queste aziende, prese in analisi da McKinsey, hanno speso quei soldi presi in prestito più per dividendi e per ri-acquistare le proprie azioni. È per questo che bisogna riportare il centro dell’attenzione sugli investimenti nell’economia reale piuttosto che su una crescita basata sul debito, perché, prima o poi, il castello crolla.

Sembra che sia proprio questo che sta accadendo in Cina, un gigante che si è già ammalato. Il rapporto fra debito totale e PIL è cresciuto del 78%, a causa di acquisti e investimenti sconsiderati da parte del governo e di alcune imprese nel settore immobiliare. Si è gonfiata un’enorme bolla finanziaria, e non è detto che il Dragone riesca a sgonfiarla prima che esploda. Le somiglianze con gli USA nel 2008 sono tante: crescita gonfiata da “cattivo debito”, per mostrare un’economia galoppante; ma poi, quando viene fuori che la gente non ha soldi, tutto ritorna alla normalità. La Cina sta rischiando grosso.

Tuttavia, Ercole riuscì a sconfiggere l’Idra, cauterizzando con il fuoco i moncherini delle teste. Come possiamo noi sconfiggere il debito? La risposta l’ho già data prima: tornando agli investimenti nell’economia reale. I tassi a zero e la pantomima di una crescita forte hanno spinto i governi e le aziende ad indebitarsi, per far sembrare che tutto vada bene. Solo i consumatori hanno puntato sul risparmio, cercando di spendere ciò che avevano senza indebitarsi. Soprattutto, la società deve iniziare a capire il debito, perché lo stato sociale (e quindi la spesa pubblica) sarà sempre più forte nel futuro. Visto l’invecchiamento della popolazione, ci saranno da pagare pensioni e dare servizi agli anziani, come ad esempio migliorare la Sanità. Tutto ciò non potrà basarsi sul debito cattivo (leggi: “spesa corrente”) come succede ora, ma su quello buono, cioè quello basato su investimenti a lungo termine. Oppure, addirittura, sul risparmio dello Stato. Tuttavia, bisognerà fare attenzione a quanto si risparmia: un bilancio statale eccessivamente positivo, cioè dove la spesa governativa è piccola rispetto alle tasse raccolte, porta ad una contrazione dell’economia. Almeno questo è ciò che la macroeconomia ci insegna.

Il debito è visto come una scorciatoia per la crescita. Finché questa strada sarà preferita agli investimenti a lungo termine, non smetteremo mai di vedere il debito pubblico e privato gonfiarsi paurosamente. Non è questione di austerità o interventismo statale, ma di ripensare il paradigma della crescita. Il mondo occidentale, ossessionato dal dover crescere, ha da solo il 75% del debito globale. Cosa succederà se esportiamo questo modello anche nei paesi in via di sviluppo? Spero di non doverlo scoprire. Come sempre, tocca a noi cittadini modificare la percezione di crescita. Un alto debito fa bene a noi, perché permette all’economia di crescere; ma come sarà il mondo dei nostri figli, se continueremo con questo modello? Ecco un’altra domanda a cui preferirei non dover trovare risposta. E ancora una volta, è meglio rimboccarci le maniche.

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